Sunday, January 17, 2010

PROVE DI REALTA'

Cammino per la città e cerco di non guardare le scritte sui muri per non arrabbiarmi, ma non ci riesco. Le vedo spuntare da ogni parte, indovino la lotta persa in partenza da portieri e inquilini che ogni tanto ripuliscono le facciate con una mano di vernice: ma c'è poco da fare, i tags ributtanti rispuntano come funghi dopo il temporale ogni mattina. Su alcuni palazzi (quelli pubblici perlopiù) si accumulano e stratificano in arabeschi osceni, segni sghignazzanti che mettono a nudo l'incuria, l'indifferenza, la rassegnazione. Il Comune ha ormai smesso di fare proclami di lotta: è solo riuscito a suscitare i piccati distinguo della Soprintendenza, che rivendica la potestà sull'aspetto esteriore dei palazzi storici. Il primo evidentemente non comprende (o meglio capisce benissimo ma finge di non saperlo) che annunciare un programma di ripulitura non è che un misero palliativo e solo un favore fatto ai taggers notturni; la seconda che l'ottusa difesa delle proprie prerogative lascerà solo le cose come stanno, e probabilmente non farà che peggiorarle. Entrambi a quanto pare vivono in una città immaginata, che non è quella della gente normale.
Altro fantastico indizio di questo mondo onirico in cui si culla la città ufficiale sono le insegne. Ormai sono decine: sopra un negozio di abbigliamento sportivo (notissima griffe di giubbotti in pelle) campeggia l'insegna delle telerie che in quei locali prosperavano cinquant'anni fa; sopra la libreria di tendenza aperta da poco più di un anno si allineano le grossolane lettere di plastica bianca che compitavano il nome di un cinema scomparso da decenni; sopra una boutique modaiola si impone la sinuosa insegna liberty di una cartoleria aperta nei primi anni del secolo scorso; sopra una interessante mostra d'arredamento si legge il sobrio epitaffio di una storica libreria, fallita da almeno vent'anni. Mi domando sempre cosa possa pensare uno straniero che capiti da noi senza essere preventivamente avvertito: probabilmente a uno scherzo, o che per qualche misterioso intoppo la nuova insegna deve ancora essere installata. Invece no: l'effetto straniante, per così dire, fa parte di una dichiarata politica di conservazione della memoria: a ricordare ai cittadini chi eravamo, come era la città nei tempi andati, come era bello quando le signore della buona borghesia soppesavano i tessuti in vendita a metraggio nello storico negozio, o quando gli scolaretti rinnovavano il corredo di pennini e quaderni in vista dell'inizio del nuovo anno. Un inane sforzo di mantenere in vita un passato immaginario, che probabilmente non è mai esistito, e insieme la determinazione a distogliere lo sguardo dalle attuali e reali brutture tracciate sui muri, ogni notte, con le bombolette spray.
Cosa possiamo aspettarci da chi mostra una tale concezione della realtà? Cosa può fare per contrastare questo deprimente degrado chi appare impegnato a trattenere la sabbia del tempo che gli sfugge inesorabilmente tra le dita? Ho sempre più l'impressione di vivere in un luogo dove si ha paura di spostare qualunque cosa, e dove soprattutto si ha paura del cambiamento, del futuro. E - lo si sarà capito - l'amministrazione di cui stiamo parlando è quella una delle più celebri e blasonate giunte di sinistra del paese.

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